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Esclusione della qualifica di "datori di lavoro" in capo agli amministratori senza deleghe ed eventuale rilevanza della culpa in vigilando


Tribunale · 05 Ottobre 2015

Amministratori senza deleghe – società di capitali – responsabilità quali datori di lavoro – morte e lesioni personali – delega espressa e definita relativa alla “sicurezza sul lavoro” – esclusione.


OGGETTO DEL PROCESSO:

Imputazione a carico di amministratori delegati, membri del consiglio di amministrazione, dirigenti della Olivetti s.p.a. e di società del gruppo ai sensi degli art. 589 e 590 c.p. in quanto, agendo nelle rispettive qualità di datori di lavoro e dirigenti, cagionavano la morte o lesioni personali a plurimi dipendenti delle predette società  per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e, comunque nell’omessa adozione, nell’esercizio, ovvero nella direzione dell’impresa, delle misure  e della necessaria vigilanza che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sarebbero state necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori  e con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e relative all’igiene sul lavoro.

LA REGOLA DI GIUDIZIO APPLICABILE DAL GUP

La Cassazione con sentenza n 33763/15  esprime determinati principi  sul tema della regola di giudizio applicabile dal gup ai fini del rinvio a giudizio o della pronuncia di sentenza di non luogo a procedere  pur dando atto della presenza di un diverso orientamento all’interno della Cassazione stessa quale espresso dalla sentenza 41373 del 17/07/2014.

Ritiene il giudicante che la prima decisione meglio corrisponda alla funzione attribuita all’udienza preliminare di “filtro” rispetto al dibattimento, in forza delle ragioni sistematiche espresse in tale sede dalla Cassazione e di una maggiore rispondenza della stessa ai valori costituzionali di tutela dell’individuo, del diritto di difesa e del giusto processo, evitandosi la sottoposizione delle persone a processi inutili; dal punto di vista dell’interesse generale inoltre l’applicazione di poteri ampi al gup ha l’effetto di diminuire il numero dei processi e di garantire una minore durata degli stessi.  Se si vogliono però applicare i principi del diverso filone giurisprudenziale rappresentato dalla sentenza n. 41373 del 17/07/2014, occorre che la prospettazione di una evoluzione probatoria al dibattimento non costituisca una mera e vuota enunciazione ma abbia carattere concreto e specifico, dovendosi evidenziare elementi nuovi quali spunti investigativi non coltivati ed effettivamente praticabili; nel dibattimento infatti il processo si attua in primo luogo attraverso  un trasferimento del materiale probatorio già raccolto dal Pubblico Ministero in una forma che consente il dispiegarsi del diritto di difesa ed del contraddittorio.  

ESCLUSIONE DELLA RESPONSABILITA’ QUALI DATORI DI LAVORO DEI CONSIGLIERI SENZA DELEGA

Deve escludersi la responsabilità quali datori di lavoro dei consiglieri di amministrazione senza deleghe di Olivetti s.p.a. e delle società consociate, ipotizzata dall’accusa in ragione del fatto che la delega del consiglio di amministrazione all’amministratore delegato non conteneva alcun riferimento alla materia della sicurezza del lavoro, con conseguente  pienezza di poteri e doveri in capo al cda. Per tutto il periodo oggetto di imputazione ed in tutte le società del gruppo il consiglio di amministrazione ha conferito all’amministratore delegato amplissimi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, delegando allo stesso l’integrale gestione ed operatività dell’impresa. Escluso ogni incarico gestorio, compito del consiglio di amministrazione nelle società del gruppo Olivetti era quello di decidere, come risulta dalla lettura dei relativi verbali, su indicazione dell’Amministratore delegato, le operazioni di carattere societario, quali fusioni, “scorpori”, acquisizioni, creazioni di nuove società, aumenti di capitale, investimenti all’estero, acquisizioni di know how, nonché le strategie di mercato; esso inoltre valutava, sulla base della relazione dell’Amministratore delegato, il generale andamento della società. Laddove il consiglio di amministrazione abbia dato all’amministratore delegato una delega contenente un mandato avente ad oggetto l’intera gestione ed operatività dell’impresa, anche con specifico riferimento all’ordinaria amministrazione e senza limiti di spesa, senza riferimento specifico alla sicurezza del lavoro, si deve ritenere che detta delega comprenda anche tale materia (che è materia di ordinaria amministrazione). Il contratto di mandato stipulato tra consiglio di amministrazione e amministratore delegato deve essere interpretato secondo i normali criteri ermeneutici previsti dal codice civile. Interpretata secondo i generali criteri civilistici relativi alla dichiarazione “espressa”, la delega del cda all’ad contiene una manifestazione di volontà esplicita di conferire al secondo ogni potere gestionale, comprensivo anche della sicurezza del lavoro, materia che, peraltro, all’epoca dei fatti, non aveva ancora autonomia concettuale.  Lo stesso art. 16 del dpr 81/2008 non prevede l’uso della “formula sacramentale” costituita dal termine “sicurezza del lavoro” ma richiede, tra l’altro, un profilo sostanziale, ossia l’attribuzione al delegato di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate. Le deleghe in oggetto debbono infatti essere interpretate secondo le regole di governance, materia che si è evoluta moltissimo nel tempo, proprie del periodo di riferimento (compreso tra 54 e 16 anni fa). Con riferimento alla giurisprudenza che si è formata nei casi di  attività di interposizione fittizia messa in opera dal datore di lavoro (allorché egli simulatamente incarica un responsabile della sicurezza del lavoro al solo fine di non rendere cogente nei propri confronti la normativa a tutela della salute del lavoratore) si ritiene che, solo allorquando, a fronte di un trasferimento di funzioni dal datore di lavoro ad un altro soggetto,  emergano elementi che facciano ritenere che si possa essere di fronte ad una delega apparente (situazione totalmente non sussistente nel caso qui esaminato e neppure dedotta dall’Accusa) il giudice va a verificare la sussistenza di quegli elementi che poi sono stati tipizzati nell’art. 16 del dpr 81/08 in quanto la loro assenza può essere sintomo di una situazione simulata. La titolarità della delega in materia di sicurezza del lavoro in capo all’ad è anche provata dal fatto che negli anni gli ad succedutisi esercitarono in concreto ed in modo pregnante detta funzione;  il Gruppo Olivetti era stato infatti dotato dagli ad nel tempo di un complesso apparato organizzativo dedito alla sicurezza del lavoro, dotato di un corpus di norme interne. Deve quindi escludersi in capo ai consiglieri d’amministrazione la qualifica di datore di lavoro.

CULPA IN VIGILANDO

Applicando i principi espressi dalla Suprema Corte ( Cass. N. 35943/2014 fonte: CN SNPEN Italgiureweb) si deve escludere che l’addebito per culpa in vigilando del datore di lavoro contenga anche quello di culpa in vigilando con riferimento alla responsabilità del mero consigliere di amministrazione. Il concetto di vigilanza ha contenuto generico e comprensivo di una pluralità di possibili comportamenti; esso quindi, in ottemperanza a principi di certezza del contenuto dell’imputazione, necessita di specificazioni. Esso deve inoltre, come richiesto da Cass. 35943/14, essere enucleato con riferimento alla norma da cui scaturisce l’obbligo di facere che, nel caso in oggetto è costituita dagli artt. 2381 e 2392 c.c., nel testo riformato nel 2003, che costituisce norma più favorevole al reo  in ragione della specificazione del contenuto della responsabilità del consigliere, fatto che consente all’imputato di trovarsi di fronte a doveri più chiaramente delineati e quindi ad una maggiore possibilità di esercizio del diritto di difesa. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il mutamento dei parametri di responsabilità degli amministratori nello svolgimento dell’incarico ad essi conferito, attraverso il riferimento esplicito alla “natura dell’incarico” ed alle “specifiche competenze” dell’amministratore (art. 2392 c. 1 c.c.). Detta normativa è integratrice della fattispecie penale; infatti è l’ordinamento civile che fissa i comportamenti doverosi degli amministratori, la cui violazione dà luogo anche a reati dolosi e colposi.

PRINCIPIO AFFIDAMENTO

Deve riconoscersi la applicabilità del principio di affidamento nel campo penale, segnatamente nel campo della sicurezza del lavoro. Le complessità della vita moderna in ogni campo, segnatamente quello dell’impresa, impongono la necessità di “fidarsi” delle informazioni che si ricevono da terzi senza le quali non si potrebbe agire; diversamente opinando, ossia considerando continuamente come possibile la violazione di regole da parte degli altri interlocutori della vita sociale,  vi sarebbe l’impossibilità di funzionamento della società e degli organismi che la compongono. Perché l’affidamento possa esonerare dalla colpa occorre che esso sia basato su una valutazione razionale ed una lettura corretta della realtà; i soggetti o l’organizzazione di cui intendiamo fidarci debbono avere caratteristiche di competenza, professionalità, affidabilità. Una volta appurata l’esistenza di questi requisiti, nessun rimprovero può essere mosso al soggetto che si è affidato a terzi (capo h: mancanza di responsabilità degli amministratori di una consociata per il caso di  una dipendente della stessa che avrebbe asseritamente subito lesioni da amianto a causa dell’esposizione al predetto materiale nel periodo in cui si recava nella mensa “Ico” della capogruppo Olivetti s.p.a. per la consumazione del pasto, di cui aveva diritto di usufruire per contratto stipulato tra la Olivetti e l’altra società).


Autore Massima Prof. Dott. Luciano Matteo Quattrocchio
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Segnalazione Prof. Dott. Luciano Matteo Quattrocchio
Normativa di riferimento: art. 589 e 590 c.p.; art. 16 del dpr 81/2008; artt. 2381 e 2392 c.c.
 

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Pubblicato il 20 Luglio 2016 - Sez. II Giurisprudenza - Documento n. 246




 

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